Ticino Economico, settembre 2024 di Cristina Maderni
Ha fallito nel contenere il traffico. È dannosa per l’economia. Il concetto su cui si basa è ingiusto e discriminatorio. Il Controprogetto non migliora i contenuti, anzi. È ora di porre fine ad un esperimento negativo.
L’antefatto
Tutti conosciamo la lunga storia della tassa di collegamento. Inizia nel 2015, con la modifica da parte del Gran Consiglio della Legge sui trasporti pubblici, nell’intento dichiarato di arginare il traffico veicolare. La tassa grava su circa duecento proprietari di aree di posteggio con oltre 50 posti auto e prevede che dal 1° agosto 2016 alle aziende siano prelevati 3.50 franchi al giorno per posteggi destinati a dipendenti, e ai centri commerciali 1.50 franchi al giorno per quelli riservati ai clienti. In una parola, si vengono a tassare i privati per un legittimo uso del suolo privato. L’approvazione spacca la società e, di conseguenza, gli stessi partiti che l’hanno votata, in cui emerge uno strisciante dissenso interno. Sono in pochi a credere che il vero scopo sia quello dichiarato, cioè ridurre il traffico, favorendo quel trasporto pubblico su cui Confederazione e Cantone molto stanno investendo. Inoltre, molti si dichiarano scettici nei confronti della narrazione che a pagare il riversamento della tassa dalle imprese al pubblico saranno i frontalieri. L’impressione è che qui si vuole fare cassetta, e che ad aprire il borsellino alla fine saranno i residenti. Ne consegue una reazione forte: in pochi mesi vengono raccolte oltre 20 mila firme per indire un referendum popolare. Allo stesso tempo sono presentati 19 ricorsi al Tribunale Federale. In sede referendaria, la tassa passa con un risicato 50.7% dei voti. Il 2 settembre 2016 il Tribunale Federale concede un effetto sospensivo, solo nel marzo 2020 respingerà i ricorsi ponendo dei forti vincoli in termini di verifica dell’efficacia della tassa, pena la decadenza. Per risultare costituzionale, la tassa deve essere causale ed efficace, inoltre i suoi effetti vanno misurati: così è deciso. Siamo però in tempi di Covid. Con lodevole ragionevolezza, il Gran Consiglio concede una moratoria fino al 1° gennaio 2025. Nel frattempo, si chiarisce che la tassa non sarà retroattiva. Benché non introdotta, la tassa è stata applicata in via cautelativa fra il 2016 ed il 2020, ribaltandone l’onere sui cittadini. Risultato sul traffico? Nessuno, casomai è aumentato. Ecco la dimostrazione che la tassa non funziona.
Perché pagare una tassa ingiusta, inefficace e dannosa?
Il passare del tempo e la sua applicazione “de facto” rendono evidente come la tassa sia ingiusta, inefficace e dannosa. Ingiusta perché discrimina fra imprese di diversa dimensione circa il diritto di utilizzare il proprio suolo, inefficace perché il traffico non diminuisce, dannosa perché comprime il potere di acquisto e danneggia l’economia. Questi dubbi e malumori si concretizzano nell’ottobre 2022 in una Iniziativa popolare legislativa elaborata. Prende il nome di “Sì all’abolizione della tassa di collegamento” ed è presentata da Piero Marchesi e cofirmatari, fra cui anche chi scrive questo articolo. La base politica è ampia, comprende esponenti di rilievo di UDC, PLR e Centro. La risposta popolare è pronta, saranno 16.023 le firme depositate nel gennaio 2023 presso la Cancelleria dello Stato. Ed ora cosa succede? Si andrà al voto popolare?
Il controprogetto “light”
No, non stiamo parlando di una bibita gassata. Di una di quelle note per indurre obesità che vengono poi rivisitate e corrette, nel tentativo di convincere il consumatore che, questa volta, berrà qualcosa di “sano” in quanto privo di zuccheri o di caffeina.
Stiamo invece commentando il Messaggio 8465 del 10 luglio 2024, contenente il controprogetto del Consiglio di Stato all’iniziativa. Una proposta subito etichettata dalla stampa come “light”, e non sembra un complimento. Nel testo, il Consiglio di Stato insiste sulla necessità di disincentivare la disponibilità di posteggi destinati a lavoratori pendolari e ribadisce l’obiettivo di orientare la domanda di mobilità a favore dell’uso del trasporto pubblico. Ed è qui che arrivano i salti mortali. Prima afferma che la tassa non è mai entrata in vigore, tacendo però che di fatto è stata applicata, e senza risultati. Poi, si dichiara cosciente della situazione di difficoltà con cui il commercio è confrontato, della crescente quota di mercato del commercio on line, dell’aumento generalizzato del costo della vita, della fragilizzazione del contesto internazionale. Allora cosa fare per “salvare il soldato Ryan” dal voto popolare? Esentare dall’imposizione “i posteggi destinati a visitatori e clienti, limitando il campo di applicazione della tassa ai soli posteggi destinati a pendolari e agli altri utenti che si spostano in modo sistematico”. Il costo è stimato in cinque milioni di franchi di minori entrate: è il prezzo da pagare per tentare di rompere il fronte abolizionista, invitando alla ritirata uno dei suoi protagonisti più vocali, la grande distribuzione.
Oggi è ora di scrivere la parola “fine”
Dividere gli avversari per batterli è una tattica vecchia, che però non sempre funziona. Velocemente la DISTI, associazione della grande distribuzione e dei centri commerciali, dichiara di restare contraria alla tassa di collegamento, che “indebolisce il potere d’acquisto dei ticinesi e mina la competitività del commercio al dettaglio locale”. Con decisione, gli iniziativisti affermano che, se questo Controprogetto fosse accolto dal Parlamento, si andrebbe comunque di fronte al popolo. Nel frattempo, non sono in pochi a denunciare la dubbia costituzionalità di un provvedimento che introduce discriminazioni nell’economia, esentando la grande distribuzione da una tassa cui sono assoggettate le imprese di tutti gli altri settori, se hanno almeno 50 parcheggi. Infine, il Dipartimento del territorio continua a non indicare gli obiettivi della tassa, affermando che saranno definiti e valutati ex-post, sulla base dell’esperienza. Peccato che la Legge preveda che vadano fissati sei mesi prima dell’entrata in vigore. Ma quale management di un’azienda privata potrebbe permettersi di non indicare al Consiglio di amministrazione gli obiettivi di un progetto industriale? La politica non è un’azienda, certo, ma il dubbio rimane.
Insomma, questa tassa è un grande pasticcio, cui va posta una rapida fine. Non so a quale tappa del processo di discussione ci troveremo al momento della pubblicazione di questo articolo, ma ho un auspicio. Che a tempo debito il Gran Consiglio affossi il Controprogetto e accolga l’Iniziativa “Sì all’abolizione della tassa di collegamento”. In caso contrario, si andrà al referendum.
Cristina Maderni
Deputata PLR in Gran Consiglio
Presidente FTAF
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