Corriere del Ticino 08 marzo 2019
L’Opinione / CRISTINA MADERNI / candidata PLRT al Consiglio di Stato e al Gran Consiglio
È giusto alzare la voce per difendere le banche ticinesi nel recente contenzioso fiscale con l’Italia? Se sì, a chi spetta l’onere di organizzare una linea di difesa? Oppure, le banche vanno lasciate da sole a gestire le eredità del passato come implicitamente sembrano sostenere alcuni osservatori, critici sul loro comportamento? Domande difficili, che si prestano a risposte non univoche ma che, nell’interesse comune, non devono in alcun modo restare inevase. Devo a questo punto confessare il mio stupore: queste domande, fino a ieri, non le ho sentite porre da nessuno. A spaiare il mazzo ci ha pensato Giovanni Merlini, depositando un’interrogazione al Consiglio federale in cui si chiede apertamente come il Governo intenda difendere le banche svizzere, invitandolo inoltre a chiarire i dubbi relativi all’interpretazione nella fattispecie della convenzione fra Italia e Svizzera contro la doppia imposizione fiscale. Portare il problema a livello federale servirà, nella mia opinione, a porre la piazza finanziaria su di una base di partenza più chiara, se non migliore. Una presa di posizione federale consentirà a tutti quegli operatori che sono oggetto di indagine, ma che non hanno ecceduto in comportamenti invasivi in materia transfrontaliera, di dotarsi di convinzioni e di coraggio necessari per difendere se stessi e i propri dipendenti, di cui, concordo con ASIB, i nominativi vanno protetti. Purtroppo, ancora una volta, ci troviamo di fronte alle conseguenze di un accordo, quello del 2015 con l’Italia, concluso da parte svizzera senza mordente e con approssimazione. Eppure, nel 2015 la Svizzera aveva potere contrattuale, disponeva di merci di scambio che oggi non ha più. Al posto di una roadmap per la prosecuzione del dialogo andavano immediatamente ottenuti due accordi. Un primo, sull’accesso al mercato da parte degli operatori finanziari, tema che ancora ci angoscia e di cui non vediamo soluzione. Un secondo, riguardante una amnistia fino al 2015 che scongiurasse potenziali assoggettamenti (non reati) fiscali derivanti da operazioni cross border, la cui necessità sarebbe dovuta essere evidente a chiunque, e la cui conclusione avrebbe costituito un chiaro monito sulla punibilità di comportamenti futuri. Così non è stato. Di conseguenza ci troviamo a difendere la piazza finanziaria di Lugano da un nuovo attacco. Non la difendiamo per motivi ideologici ma per supportare quei 15.000 posti di lavoro che sono generati dalle banche e in ugual misura dagli operatori fiduciari e parabancari. Posti di lavoro che non si spostano per motivi di fiscalità societaria, che impiegano manodopera residente e che pagano stipendi equi.
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