Corriere del Ticino 26 novembre 2018
ELEZIONI / Dibattito rosa a «La domenica del Corriere» tra due donne candidate al Governo È battaglia su fisco e salari.
Amalia Mirante: «Alle cantonali corro per vincere» – Cristina Maderni: «La mia presenza in lista non è un alibi»
Entrambe si destreggiano con i tacchi a spillo tra lavoro e vita politica ed entrambe hanno deciso di mettersi in gioco per le elezioni cantonali di aprile. Ma quando si parla dello stato di salute del mercato del lavoro e delle risposte che devono dare le istituzioni non c’è solidarietà femminile che tenga: Amalia Mirante e Cristina Maderni la pensano in maniera completamente opposta. Ospiti di Gianni Righinetti a «La domenica del Corriere» su Teleticino, la candidata socialista e quella liberale radicale si sono date battaglia. A partire dalla proposta del direttore del DFE Christian Vitta di abbassare il moltiplicatore cantonale del 5%. Una mossa definita «necessaria» da Maderni per poter «rendere il Ticino più attrattivo e mantenere quei contribuenti che pagano le imposte», ma considerata insidiosa da Mirante. «A nessuno piace pagare le imposte, neppure a me – ha affermato la socialista – ma per poter godere di sicurezza e servizi è necessario farlo. È un patto tra Stato e cittadini. Introducendo questi sgravi a cosa dovremo rinunciare? Nessuno ce l’ha ancora detto». E sempre in ambito di fiscalità, ancora da chiarire saranno i prossimi passi del gruppo Kering, il gigante francese della moda e tra i principali contribuenti del cantone, che potrebbe presto partire per lidi più attrattivi. «Sul fatto che il polo della moda sia importante per il Ticino siamo tutti concordi – ha continuato Mirante – ma queste grandi aziende che tipo di lavoro offrono? E quale plusvalore portano al territorio? Non creano alcun posto di lavoro per i nostri ragazzi». «Non sono d’accordo – ha replicato Maderni – puntare il dito contro le aziende è facile ma non si può demonizzare tutto il nostro tessuto economico. Non dimentichiamo che queste strutture portano un indotto diretto e indiretto non da poco, senza contare che contribuiscono a creare posti di lavoro». Impieghi che, ça va sans dire, vanno remunerati. In merito, l’iniziativa «Salviamo il lavoro in Ticino» (approvata dal 54% dei votanti nel 2015) si è arenata sullo scoglio della politica? ha rilanciato Righinetti. «È così – ha commentato Mirante, tra i sostenitori della proposta – avevamo portato un’iniziativa moderata e facilmente applicabile che chiedeva di introdurre il salario minimo e oggi, a distanza di tre anni, è tutto fermo. Ed è lampante che nulla si muoverà prima delle elezioni». Licenziato un anno fa il messaggio del Governo – che prevede una forchetta compresa tra i 18,75 e i 19,25 franchi all’ora – il dossier è approdato sul tavolo della speciale Sottocommissione dove, però, le diverse sensibilità dei commissari faticano a individuare una soluzione condivisa. «L’accordo va trovato subito e non posso credere che la nostra classe politica non riesca a decidersi per 50 centesimi», ha affermato Mirante. «Ma occorre essere cauti sulla definizione di un minimo salariale – ha replicato Maderni – se mettessimo l’asticella troppo in alto il rischio è che si provochi una contrazione anche sui salari massimi. In altre parole non vi sarà più quel margine di manovra per premiare, ad esempio con un bonus, un dipendente particolarmente efficiente. La coperta delle ditte per la distribuzione della massa salariale è quella, non si possono fare miracoli». La presidente dell’associazione dei fiduciari ha inoltre messo in guardia di fronte a un possibile «livellamento verso il basso degli stipendi», precisando come «non si risolve il problema del dumping e della concorrenza estera con il salario minimo, ma puntando sulla formazione dei nostri giovani». Un’affermazione che ha fatto scattare Mirante: «Ma il salario minimo permette proprio di rendere accessibile alcune professioni ai residenti. Siamo lungimiranti quando parliamo di coperta delle ditte: è vero che alcune aziende potrebbero non riuscire a sopravvivere con l’introduzione dei minimi salariali. Ma vogliamo un’economia che non riesce nemmeno a sostenere 19 franchi all’ora? Il messaggio dev’essere chiaro: se si vuole offrire salari cinesi mi spiace, ma il Ticino non è il posto giusto». Divise sui temi economici, le due candidate in corsa per il Consiglio di Stato la vedono allo stesso modo almeno sulle quote rosa in politica? Sembrerebbe di no. Se Maderni si dice «contraria a simili impostazioni poiché una donna dev’essere eletta per le sue qualità», Mirante non ha un attimo d’esitazione: «Assolutamente sì alle quote. Anzi, perché non uscire da questi retaggi e parlare di quote azzurre?». E lanciando uno sguardo alla campagna ormai alle porte, l’economista è stata schietta: «Se corro è perché voglio vincere. Al di là del primo obiettivo che è quello di contribuire al mantenimento del seggio socialista in Governo, voglio fare un buon punteggio personale per poter diventare consigliera di Stato». Ma ad una poltrona nella stanza dei cinque che contano ambisce anche Maderni che ha voluto mettere i puntini sulle i: «Non mi reputo una candidata alibi sulla lista del PLR. Ho degli argomenti e delle visioni da portare avanti». Un assaggio della lotta tra PLR e PS in vista delle cantonali è andato in scena già settimana scorsa, quando i partiti si sono riuniti in congresso per dare avvio alla volata. E assieme alla campagna sono state lanciate anche diverse frecciate a distanza tra chi è partito lancia in resta per il raddoppio (il PLR) e chi ha chiamato a rapporto i sostenitori per salvare il seggio socialista di Manuele Bertoli. «Nessun consigliere di Stato è proprietario di un dipartimento – ha affermato Maderni – la formazione è importante perché rappresenta la base dei nostri giovani e quindi del nostro cantone». «Ma il PS deve restare in Governo – ha ribattuto Mirante – è nell’interesse del Paese. I socialisti aiutano a rappresentare visioni e bisogni diversi della popolazione. Non dimentichiamo che il sistema svizzero si fonda sul confronto delle idee».
Comments